Quando ho letto l’intenzione del Ministro della Pubblica Istruzione di far entrare gli smartphone in classe quali strumenti didattici, il mio cuore di mamma ha avuto un sussulto: “ma come?” Ho pensato ” con tutta la fatica che sto facendo per posticipare il più possibile il momento in cui mia figlia avrà il suo smartphone e il conseguente accesso al mondo che ne consegue, con le sue luci ed ombre, rischio di non avere più la scuola al mio fianco come alleata, nell’educazione? Nella costruzione di un modo di stare al mondo, che sia innanzitutto presenza a se stessi, capacità di concentrarsi su ciò che si sta facendo in un dato momento, capacità di attendere, aspettare, desiderare e conquistare qualcosa, lavorare per ottenerlo, sopportare una frustrazione, avere ben chiaro il senso della realtà, il valore dei rapporti umani, dello scambio diretto e aperto con i propri coetanei?” Questo ho pensato, perche’ come ha scritto in una straordinaria lettera aperta al Ministro, Alberto Pellai, medico e psicoterapeuta dell’età infantile, ci sono bambini che non si tolgono mai di mano il telefonino, e non ci sarà mai una zona franca dalle tecnologie nella vita di un figlio, se quella zona franca non sia stata prima presidiata, verificata, e rinforzata nella vita familiare e sociale del bambino. Il tutto e subito, l’accesso contemporaneo a qualunque informazione e contatto, la confusione tra realtà virtuale e vita di relazione, i fenomeni come il cyberbullismo ed il pericolo di impattare in contenuti della vita adulta sul web sono tutti collegati anche ad un rapporto troppo precoce con lo smartphone e non gestito adeguatamente dai genitori.
Oggi a dieci anni, il 40% dei bambini ne possiede uno, io non vorrei darlo a mia figlia prima dei 14 anni, e vengo spesso derisa quando lo dico e accusata di essere una madre “preistorica” che non tiene conto dei trend moderni e che verrà travolta dalla corrente che va in massa in una sola direzione.
Non lo credo, e senza demonizzare lo smartphone, cecherò di introdurlo nella vita di mia figlia in modo consapevole, e quando, da genitore, riterrò che sia il momento opportuno, in un progetto educativo che non sarà infallibile ma che è un progetto.
Per questo spero che la scuola usi tecnologie proprie, come strumenti didattici, e che l’eventuale uso futuro dello smartphone in classe sia soprattutto volto ad aiutare i ragazzi a gestire uno strumento importante ma non esente da rischi. È ovvio che la scuola non può e non deve sostituirsi ai genitori, che sono i principali responsabili dell’educazione dei propri figli, ma aiutarli si, anche a rafforzare quelle zone franche dalle tecnologie in cui i nostri ragazzi possano leggere libri, dialogare, esprimersi, studiare, e usare la propria immaginazione.